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Meglio degli Originali – Intervista ai “miniature”

Posted in concerto, intervista, miniature, musica, Roma on 19 luglio 2012 by Jacopo Spaziani

Era una bella giornata di Ottobre quando, passeggiando con una mia amica, mi sono ritrovato ad ascoltare i miniature. Proprio così, senza maiuscola iniziale. Erano uno accanto all’altra a Piazza Navona, e mi sembrava di riconoscere un “Eye of the tiger” in stile quasi minimal: una chitarra ed una fisarmonica, tutte e due piccolissime. Seduti, concentrati e bravissimi, siamo rimasti ad ascoltarli tutto il tempo, ed alla fine presi anche il cd.

Dopo qualche tempo decisi di contattarli per un’intervista da mettere sul mio blog (e forse il link lo troverete qui, da qualche parte), ma per qualche mese ci siamo un po’ rincorsi fino a Venerdì, quando siamo riusciti ad incontrarci per un sorso di succo di frutta all’ombra di un bar, in un quartiere che non vi dico perché.. perché poi lo capirete.

Ecco cosa è uscito da una piacevolissima mezz’ora in compagnia di Silvia e Gabriele, i miniature.

Allora, partiamo con le domande classiche: perché miniature?

(sorridono)

Silvia: già il fatto che hai detto “miniature”, in inglese, è quello che vogliamo: la possibilità che hai di dirlo in inglese, ma anche in italiano o in francese..

Gabriele: cercavamo un nome ce rappresentasse il fatto che suoniamo strumenti piccoli, ma anche che andasse fuori dal contesto nazionale, proprio perché siamo molto aperti a cose al di fuori dell’Italia.

Quindi non ho fatto subito una figuraccia pronunciandolo in inglese?

G: no anzi, a me personalmente piace molto quando lo pronunciano in francese.

E perché questa scelta, quella di suonare strumenti piccoli, fare cover?

G: per gioco, per suonare nell’accezione di giocare, che è nato per caso.

S: si, io sono una cantautrice, ho sempre suonato i miei pezzi. A un certo punto è nato il progetto, così.

G: ci siamo conosciuti, io avevo qualche strumento piccolo a casa, e ci siamo messi a suonare insieme. Quando poi abbiamo cominciato a suonare per strada, abbiamo pensato ce questo progetto potesse essere interessante. Comunque noi portiamo avanti il progetto solista di Silvia, ma in altri contesti miniature era adatto a situazioni anche un po’ goliardiche, ironiche.

No, non è finita qui. Continueremo parlando di Roma e dei problemi di Roma, della musica nella Capitale e all’estero, e ci faremo un sacco di risate.

L’intervista completa uscirà la prossima settimana sul blog di LeCool Roma, completa di foto.

Stay-fuckin’-tuned.

Sempre Le Stesse Cose

Posted in disagio, manifestazione, noi, politica, rabbia, Roma on 19 giugno 2012 by Jacopo Spaziani

L’immobilità di questo paese è spaventosa.
La paralisi delle istituzioni è qualcosa di aberrante, un deserto dove continuiamo a vagare senza meta. Si parla di esodati, licenziati, cassaintegrati, lavoratori temporanei. Il gelo che c’è tra il cittadino ed il palazzo è artico, entra nelle ossa del cranio della gente e le blocca.

Guardatevi in giro: siamo un paese che va avanti a cortei, che puntualmente vengono repressi. Si continuano a fare scioperi di poche ore, per poi tornare ligi in fabbrica (sempre che se ne abbia una dove tornare). Si perpetua una crisi che non è più solo economica, ma sociale e culturale.
La gente, quella che già prima se ne sbatteva del prossimo, è sempre più cinica. Quelli che hanno ancora qualche pezzo di cuore sano se lo tengono ben stretto, diventando ancor più cinici dei cinici stessi. Non si fa più caso al prossimo, nemmeno a quello più vicino. Chiudono musei, ospedali, cinema, teatri, scuole. Siamo un popolo preoccupato, a cui è stato tolto il “pre” ed ora può solo occupare quegli stessi teatri che hanno fatto la nostra storia. È il periodo dell’occupare, occupare tutto. Perché non abbiamo nemmeno più il diritto di entrare nei luoghi pubblici da liberi cittadini.

Abbiamo forze dell’ordine a cui viene tolta la carota, ma a cui vengono consegnati bastoni belli pesanti. E come qualunque impiegato, eseguono quello che viene loro impartito: picchiare, reprimere, soffocare. La Val Susa, gli operai, i giovani di fronte a Montecitorio, i cittadini incazzati per il veleno nell’aria. Picchiare, reprimere, soffocare. Non possiamo illuderci di potergli dire “venite dalla parte nostra” e di conseguenza convincerli. Qui non funziona così. Loro devono stanarci, prenderci e zittirci.
Picchiare.
Reprimere.
Soffocare.

La famosa “fine del mese” nemmeno esiste più: i giorni si confondono, i conti continuano a non tornare ed il cittadino altro non può fare che consolarsi col pallone e i tribunali televisivi, con le risse catodiche ed il sudore in fronte che non li ripagherà mai davvero. Rientrare in una casa che ha le fondamenta intrise di quel sudore, e sentirla sempre più stretta per colpa di IMU e bollette e consumi e disguidi, ti fa allontanare sempre più dalle tue radici. Ti fa dimenticare quanto davvero appartieni al tuo paese, alla tua città, di costringe ad infastidirti per colpa di quei vicini che si, rumorosi lo sono sempre stati, ma oggi esagerano. Arrivi ad odiarlo, il posto in cui vivi.
E con lui le persone che ti stanno intorno e che ci vivono come te. Soprattutto se il tuo malessere non viene minimamente considerato.

Ma, come dicevo qualche post fa, possiamo sbatterci la testa quanto vogliamo. Possiamo scendere ancora in piazza, con i nostri cartelli simpatici, possiamo continuare a svagarci al solito posto tutti i weekend. Possiamo continuare a votare, a fare referendum e a chiedere abrogazioni. Possiamo anche trovarci un lavoro, e mettere su famiglia: chi prenderà decisioni sarà sempre qualcun’altro, e queste decisioni non ci riguarderanno mai.

Perché il problema non è chi dice sempre le stesse cose.

Ma noi che (non) ci crediamo.

Ti Spreco, Non Mollarmi.

Posted in AleDanno, disagio, foto, manifestazione, monnezza, politica, Polverini, rabbia, Regione Lazio, Roma, salute, Totodiscarica on 15 giugno 2012 by Jacopo Spaziani
Cerco di fartela il più breve possibile, sperando di non annoiarti: sono un ragazzo di 27 anni, abito a Roma e più precisamente a Ponte Galeria, quindi a poche centinaia di metri dalla discarica di Malagrotta, dalla raffineria ed il gassificatori dismesso da quasi due anni (con sessanta lavoratori a piedi).
Sono sicuro tu sia a conoscenza dell’indegna “totodiscarica” che si protrae da quando Malagrotta avrebbe dovuto chiudere (2006, per richiesta della UE), quindi ti risparmio lo strazio che stiamo vivendo. Voglio solo precisare che io, come mio padre e molte altre (non tutte) persone, siamo per il NO alla discarica e per il SI alla raccolta differenziata ed al riciclaggio vero.
Mio padre conduce una battaglia da 35 anni per la zona, ha fatto scioperi della fame ed infinite proteste.
Premesso questo oggi, grazie anche al “ruolo” di disoccupato che ricopro da quasi un anno, ho deciso di seguirlo in Regione, a via della Pisana, per assistere alla discussione ed alla conseguente votazione delle mozioni straordinarie proposte dal PD.

Poi dicono che non sono Social – Banchi Opposizione

Sono entrato alle 10.30 e la discussione è iniziata alle 13, con un’ora di ritardo. 4 ore di discussione dei vari consiglieri e capigruppo, in cui non si è assolutamente parlato del tema all’ordine giorno ma di quanto gli altri abbiano sbagliato ai loro tempi e di quanto i siti scelti non vadano bene. Questo, ovviamente, a schieramenti alternati.
In più la “Presidente” Polverini , durante l’intervento del Presidente Nazionale dei Verdi e capogruppo Angelo Bonelli che si rivolgeva direttamente a lei, dapprima si è alzata dalla sua comodissima poltrona, poi è scesa al centro dell’aula dove si è fermata a chiacchierare con dei consiglieri per poi andarsene. Il tutto sotto gli occhi di almeno 100 cittadini presenti. Questa portata principale è stata accompagnata da gente su Facebook, perennemente con il cellulare e l’iPad tra le mani, giochi sull’iPod e chiacchiere continue. Il tutto durante le discussioni dei “colleghi”. E qui, parliamo sempre di entrambe le parti.

Bonelli parla, la Polverini pure.

Alle 17 il Presidente sostituto dichiara con orgoglio che vista la grande partecipazione alla discussione da parti di tutti, e della grande correttezza della stessa (a parte una breve lite verbale tra il solito Storace e Maruccio, se non ricordo male, comunque IDV se fosse), insomma un quarto d’ora di pausa per tutti. I lavori sarebbero dovuti ricominciare alle 17.15, con immediata votazione.
Dopo quasi tre ore, durante le quali alcuni consiglieri sono rientrati a piccoli gruppi, il Presidente (sempre l’altro, che Renata evidentemente aveva altro di meglio da non fare, si è cominciata a spargere la voce che il voto sarebbe stato rimandato a domani, 13 Giugno.Da notare che in questo caso il voto sarebbe stato segreto.
Niente voto oggi, niente volto domani.
Tutti noi però, chi più impetuosamente chi meno, ci siamo finalmente uniti davvero: mentre i più sono rimasti nella sala detta “Acquario” (il motivo credo sia perché puoi osservare animali che fanno avanti e indietro dimenticandosi tutto ogni 5 secondi), altri di noi sono andati a bloccare le uscite in modo però molto blando, giusto per far capire che saremmo stati disposti ai turni, pur di rimanere lì e farli votare.

Sconfiggo questo mostro.. poi ne sconfiggo un altro.

Proprio mentre tornavo a casa in previsione di questo (erano le 22.30 circa), hanno finalmente fatto uno sforzo che però ha prodotto giusto i soliti contentini:
– un no alle discariche nella Valle Galeria, a Pian dell’Olmo e a Pizzo del Prete (ma rimangono in piedi circa 15 siti papabili, 15 luoghi in cui potrebbero scavare un a buca e riempirla, in modo superficiale come a Malagrotta, di rifiuti non trattai);
– un no all’esportazione dei rifiuti all’estero (in Olanda). In questo modo il dio della monnezza, Manlio Cerroni, potrà continuare tranquillamente a lucrarci sopra.
– un piano di raccolta differenziata inesistente;
Molte persone hanno comunque festeggiato. “Meglio da un’altra parte che da me”.
Persone capitanate da gente che sembrano capi ultras, e che probabilmente se mettessero la loro faccia sui cartelloni, l’anno prossimo, li troveremmo tranquillamente dall’altra parte dell’Acquario. E li pagheremo pure.
Mio padre, io e tantissima altra gente, invece, siamo molto amareggiati. Per noi è un’ennesima sconfitta. Basterebbe prendere i soldi risparmiati nei primi due punti (si parla di centinaia di milioni di euro) ed investirli nel terzo.
E invece no, continuiamo a sprecare e bruciare, e di conseguenza la gente continua ad ammalarsi (ed è sempre di più, credimi), si perpetua lo stupro di paesaggi bellissimi ma sconosciuti e svalutati.
Forse davvero dobbiamo arrivare al limite “Napoli”, e quindi poi superarne tanti, di limiti. In tutti i sensi.
[questa originariamente è una mail che ho inviato a NonLeggerlo che, a dispetto del nome, consiglio vivamente a tutti di leggere. Se dovesse anche solo pubblicare una foto o questa mail, ne sarei più che felice. Al momento, pensiamoci noi.]

Blackout

Posted in AleDanno, disagio, luce, manifestazione, monnezza, politica, rabbia, Roma, salute, testamento on 4 giugno 2012 by Jacopo Spaziani

L’importante è lasciar caricare le puntate. Sempre.

L’una e mezza di una notte buia. Buia perché la luna enorme che fino a poco fa squarciava il nero della mia stanza è sparita, scesa dietro le sagome scure degli alberi, scivolata dietro le forme tonde delle colline. Persino lei è andata a dormire, dopo essersi esibita ancora, dopo così tante volte che persino lei ha smesso di contarle, le notti in cui ci ha illuminato e stregato, e le volte in cui ci ha solo osservato dietro un sipario di nubi. Ma questa notte è buia anche perché è saltata la fottuta luce in tutta la fottuta zona di questa fottuta città. Ma io mi chiedo ma come cazzo si fa nel 2012 a stare senza luce per ore? Sarà proprio perché è il cazzo di duemiladodici di merda, che sarà che i segnali ce ne sono e sempre più spesso e sempre peggiori, però cazzo paranoico si ma non fino a questo punto. Perché io le mie teorie delle cospirazioni me le faccio, che l’anno prossimo qui tocca votare per parecchie cose e quindi tra tentate privatizzazioni, referendum ignorati, soldi che non ci sono da una parte ed enorme necessità di fondi dall’altra, Aledanni impazziti e gente ancora più matta, uno un paio di collegamenti un po’ assurdi li può fare. Oppure penso che qui, dentro ‘sta casa, abbiamo sempre fatto di tutto per non rompere ancora di più i coglioni alla Madre Terra: lampade a basso consumo qui ce ne sono da anni, costante attenzione a non sprecare l’acqua, disperati tentativi di fare raccolta differenziata in una zona dove per “corretto smaltimento rifiuti” s’intende al massimo assumere molte fibre, orti in giardino e pannelli solari per l’acqua. Ma penso che poi, nonostante questo, bastano due geni del male che approfittano della prima giornata veramente calda dell’anno per testare il loro cazzo di condizionatore per far andare in tilt un quartiere. E quest’estate che facciamo? Visto che non abbiamo i soldi per andare in vacanza ci barrichiamo in casa circondati da condizionatori, frigoriferi aperti e ventilatori all’azoto liquido? Ma mettiamo allora che non sia il caso del “gomblotto”, e neppure quello del giambotto. Allora, diciamo che è colpa di un malfunzionamento. Tac. Un colpo di vento più forte e giù un palo, una pozza d’acqua a contatto coi fili o perfino un uccello che si è fritto su un traliccio. Va bene. Ma ci vogliono letteralmente ore per aggiustare ‘sta cosa? Dobbiamo aspettare le telefonate della gente che sbrocca? Che poi alla fine faccio così solo perché tutto ‘st’impiccio non mi permette di avere Internet. Maledettissima mancanza di voglia di avere rapporti umani. Umani. Bleah. Ora come ora non vi sfiorerei nemmeno se diventassi cannibale. [sto per finire la carica. La luce non è ancora tornata, e per quanto mi riguarda potrebbe non tornare mai più. Quando leggerete questo tra centinaia di anni causa giusta estinzione di QUESTA razza umana, sappiate che anche se poco e male, io comunque ci ho provato. Sappiate anche che:

– Berlusconi era veramente un porco pedofilo colluso e rifatto;
– si, Flashforward non ha mai avuto un seguito;
– si, Lost finisce così, ed è bellissimo;
– Barbara D’Urso probabilmente sarà ancora viva. Uccidetela;
– non siamo stati così cattivi, abbiamo fatto anche cose buone: i mercatini vintage, i Centri di Permanenza Temporanea Porta a Porta, ad esempio, sono cose cattive;
– gli hipster, anche se per poco, sono esistiti davvero, e ci credevano sul serio. Credo anche che siano una delle cause della nostra estinzione;
– c’è stato veramente un Presidente statunitense nero e si, al momento è ancora vivo. A meno che non succeda stanotte;
– no davvero. Uccidete Barbara D’Urso;
– se mai leggerai, sappi che mi sei piaciuta fin dal primo giorno, e non sono mai riuscito a dirtelo. Spero che prima che il panico e la follia ed il saccheggio ci separino per sempre tu possa leggere queste poche righe. Sappi che è stato bello condividere ogni singolo momento con te, e che ho sempre sperato di guardarti negli occhi rendendoti partecipe della felicità adolescenziale che mi scorreva nelle vene. Stupido me, e stupide le mie finte inibizioni. Mi mancherai, dolcissima

2500

Posted in concorso, disagio, noi, passi, politica, rabbia, Roma on 28 Maggio 2012 by Jacopo Spaziani

Duemilacinquecento battute. Ogni tasto mi avvicina alla fine, così come ogni passo che facciamo ci avvicina ad un futuro incerto. Se avessi la certezza che dopo 2500 passi avrei la possibilità di risolvere i problemi di questo paese, li sceglierei con cura: andrei davanti al Parlamento, per gridare la rabbia mia e di altri milioni di persone, per urlare che così non va, che non concepisco come possiamo noi tutti accettare di avere le mani sporche di un sangue che non abbiamo versato e di cui non siamo colpevoli. Andrei di fronte ad un cantiere, per parlare con i gli operai e convincerli che i loro diritti non devono essere schiacciati da gru che cedono. Camminerei fino davanti ad una filiale Equitalia per mostrare loro le foto di chi si è ammazzato a causa di cartelle insostenibili e minacce di pignoramento. Andrei da Napolitano, per dirgli che con i moniti non si è cambiato mai nulla, e che forse smettere di parlare e cominciare a fare potrebbe essere l’inizio di qualcosa. Andrei da Grillo, per ringraziarlo ma anche per avvisarlo che qui chi strilla e insulta sarà sempre visto male, che suoi comizi sono fin troppo paragonabili (per chi ama attaccarlo) a vecchi filmati in bianco e nero che gli Italiani conoscono bene. Andrei da Monti, per spiegargli che io che un lavoro non ce l’ho da quasi un anno mi diverto tantissimo e la monotonia non so proprio cosa sia. Passerei dai miei amici, per provare a convincerli che qui oltre a Trastevere il Venerdì sera non c’è altro e che forse andare via tutti insieme non può che farci bene. Infine andrei da mia madre e mio padre per chiedere loro scusa se arrivato a quasi trent’anni sono ancora qui a farmi dare qualche soldo, per abbracciarli come non faccio mai e sperare che almeno un po’ siano orgogliosi di me.

Poi però mi guardo intorno e mi rendo conto che sono fermo, ancora, di nuovo. Attorno a me altra gente ferma, con la testa bassa a puntare il dito contro calciatori truffaldini mentre gli assassini che in più di 30 anni hanno ammazzato centinaia di persone ci passano dietro. Mi rendo conto che se i 2500 passi sono solo i miei, così come le 2500 battute, non basteranno mai nemmeno per avvicinarmi ad una soluzione.

Abbiamo bisogno di qualcuno che, poggiato il nostro ultimo passo, continui a camminare per noi. Abbiamo solo bisogno di noi stessi tutti insieme. Abbiamo bisogno di alzare la testa, di guardarci negli occhi e tenerci per mano. Perché se li facciamo da soli 2500 passi non ci porteranno da nessuna parte.

L’Eccezione

Posted in ATAC, disagio, manifestazione, monnezza, noi, politica, rabbia, Roma, salute on 25 Maggio 2012 by Jacopo Spaziani

“Nobody dies all alone.. You needed all of them, and they needed you..”
“For what?”
“To remember.. and.. let go..”

Questo post è un’eccezione: le crisi interne di una persona non dovrebbero ostacolare quello che fa quando si relaziona con il resto del mondo. Che sia tramite un lavoro, una chiacchierata, un blog. ‘sto giro è successo, prometto che non succederà più. Anche se rimarrete solo voi e me, ve lo devo. E l’eccezione è che scrivo oggi invece del Lunedì. Poi si riprenderà come sempre.

Ma anche il messaggio di questo post, è un’eccezione: vado vagamente sul personale. Scusatemi, ma sarà, giuro.. un’eccezione.

Già perché l’altra sera, parlando con un mio amico, a conclusione di un paio d’ore piacevolissime passate tra cocktail complicati e discorsi su quanto l’innamoramento non sia altro che una questione di ormoni, sono arrivato ad una conclusione: NOI siamo un’eccezione.

Noi quasi o appena trentenni (ma ci metto pure la fascia dai ventenni ai trentacinque) siamo quel blocco di persone nate senza uno scopo. Senza un’utilità. Badate bene però, non dico sia colpa nostra, e nemmeno che non si possa fare nulla.
La situazione in cui ci troviamo ora, con mestieri uccisi, mastri che si uccidono, bomb(ol)e che esplodono ancora senza che nessuno ricordi nulla, case che vengono giù come quella sulla spiaggia nel finale di “Se Mi Lasci Ti Cancello”, Nani in odore di gran ritorno, soldi che spariscono sempre di più per ricomparire nelle tasche sbagliate, affluenze al voto che l’Egitto in confronto sembra sempre essere stato un paese democratico, banche sempre più vive ed i nostri incubi sempre più vividi, questa situazione spezza le gambe. Toglie la voglia. Uccide i sogni.

D’altra parte, chi più e chi per niente, c’è una nostra “alba italiana”: rispetto già anche a cinque anni fa l’impegno, la voglia e la determinazione di molti giovani è ammirevole. Dai ragazzi No Tav assediati da mesi a chi ancora crede in un partito e ne porta avanti le idee, da chi lotta ogni giorno contro le discariche proponendo metodi alternativi di smaltimento a chi ha il coraggio di provare a mettere su famiglia, da chi paga ancora il biglietto dell’autobus (qui a Roma, tra l’altro, da oggi aumenta il prezzo) a chi usa quotidianamente la bicicletta.
Anche solo vedere molta più gente interessata a quello che ci succede intorno rispetto a pochissimo tempo fa da una spinta a chi ancora è fermo.

Il problema, il NOSTRO problema, è che non andremo mai oltre a questo. Qui da noi, anche se scoppiano le bomb(ol)e, anche se continuano a crollare le case, anche se continuiamo ad essere sempre più poveri, qui da noi ancora ci dobbiamo fermare dopo vent’anni che un uomo VERO è saltato per aria e chiederci perché, chi è stato, ma avendo tutte le risposte davanti.

Il NOSTRO problema è che abbiamo tutto di fronte a noi, è tutto chiaro. Ogni domanda ha una risposta, sempre. Ma qui da noi le risposte vengono nascoste con la scusa del segreto di Stato, vengono chiuse in scatole polverose ed abbandonate. Quando non vengono distrutte.
Ma noi le risposte le sappiamo, solo che non c’eravamo e quelli che c’erano prima o poi saranno destinati a scomparire. Andranno via con la certezza di sapere le risposte, ma con il dubbio di averle mai avute davvero. E a noi non sarà mai concesso di dissipare quei dubbi al loro posto.

Il MIO problema è che anche io so le risposte. So anche molte risposte che riguardano me e solo me. So dove dovrei essere, so cosa vorrei fare in questo momento, so chi vorrei avere accanto, so cosa farei delle mia vita da qui a un bel po’ di tempo.
Ma non mi è concesso farlo. Per quanto io mi (s)batta per ricominciare, il mondo ti chiude le porte in faccia.

E quando penso che vorrei mandarti un messaggio, comprare una bottiglia di vino e portarti al Gianicolo conoscerci davvero un po’ di più, mi fermo e mi dico che non ho un lavoro che mi dia i soldi per farlo. Perché in questo momento la forza di volontà è ai minimi storici, e dove mi giro non vedo nulla che possa aiutarmi. Nulla. Dopo che per mesi hai girato come un matto, hai tentato più di una strada, sei stato deluso da promesse dette a mezza bocca, dopo che per mesi ti sei sentito quasi al sicuro per poi ritrovarti di nuovo in mutande.. beh, un po’ le palle ti cascano.

Per questo siamo un’eccezione: perché quelli che hanno le palle così sode che non cascano mai, sono pochi. I molti sono quelli che riescono a farsi una vita loro, riuscendo ad ignorare il resto del mondo, e le palle le lasciano nel comodino. In mezzo ci sono quelli come me, che le palle se le tengono strette fino all’ultimo, ma che cadono quando siamo costretti ad alzare le mani di fronte all’evidenza: non cambieremo nulla.
Non riusciamo a mettere una virgola, alle cose, figuriamoci un punto

Ma so che ce la faremo. So che il mondo un giorno ci sorriderà.

Solo per quel giorno.

Ma sarà bellissimo.

Basta Un Poco Di “Zucchero” – Intervista Ai “The Pills”

Posted in intervista, musica, Roma, ThePills, YouTubberz on 14 Maggio 2012 by Jacopo Spaziani

Se la tajano parecchio.

Il primo episodio dei The Pills tratta di amore e di Erasmus, del trauma che può causare l’idea della tua donna lontana per mesi tra gente sconosciuta ed alcool facile. Solo che non te la fanno prendere a male, anzi.
I Pills sono un gruppo di ragazzi romani, che come tutti i non ancora trentenni e come tutti i romani fanno di tutto per non lavorare, e piano piano guarda se non ci riescono, i bastardi. Dopo anni di cazzate in comitiva, episodi grotteschi ed aneddoti divertenti, Luca Vecchi (insieme a Mattia Coluccia, Matteo Corradini e Luigi Di Capua ed altri chimici della risata) decide di cominciare a girarci dei video, riversando dentro il sacco di cazzate accumulate tra serate, droghe più o meno leggere e prostitute colombiane.
Prodotti dal Dude Magazine, quello che ne esce fuori sono esilaranti spaccati di vita quotidiana che mischiano realtà e demenziale, citazioni di ogni genere e bianco e nero perché non sanno fare la fotografia.

In poco più di sei mesi i Pills hanno parlato di mercatini vintage, scrittori neomelodici, scherzi pesanti e amori stupefacenti raccogliendo consensi ovunque. Con l’umiltà di chi in realtà ha iniziato per divertirsi con gli amici, ogni episodio si è arricchito ogni volta di citazioni (la puntata su Fabio Volo è un’esplosione di Scrubs, nerdismo e film cult), i mille e mille “zì” di Corradini, sfacciate nevicate di zucchero a velo e un’improbabile merchandising.

La prima serie “regolare” si apre e si chiude con l’amore (passando per il lavoro, gli amici e le droghe), e non perché siano degli inguaribili romantici (secondo fonti vicine al gruppo, il massimo del romanticismo per loro sono gli Snuff Movies), ma perché semplicemente l’amore è la base di tutto. Da lì, gli spunti per un episodio si ramificano fino ad arrivare a risvolti e conclusioni che con l’amore poco c’entrano. Mentre vedi Luca che mangia una banana di nascosto, o Luigi che definisce i nuovi orizzonti della sessualità, capisci che alla fine l’amore è solo una scusa per poterci (e doverci) ridere sopra.

E pensate che dopo tutto questo tempo hanno prodotto talmente tanti deliri mentali che oltre ai The Pills esiste The Pills 1/2. Mezze pillole da prendere quando si ha bisogno di una dose leggera di follia.

Personalmente, ho avuto il piacere di conoscere Matteo, Luca e Mattia, il primo ad una festa ed i secondi ad un’intervista radiofonica che hanno rilasciato la settimana scorsa. La follia si nota, nei loro occhi. Una follia che riversano in battute che sono diventate must per chi li segue, un delirio di sguardi e gesti, una schizofrenia di trame scollegate fra loro ma che hanno sempre e comunque il pregio di farti ridere. Perché la maggior parte delle volte quello che succede in un episodio dei Pills è un qualcosa che abbiamo già visto e sentito, ma che è passato come “un momento come un altro”. Per i Pills, invece, quel momento diventa spunto per dire e fare cose totalmente assurde e senza senso, riuscendo a trovare la leva giusta per trasformare il normale in diverso. Riuscire a ridere per mezz’ora solo perché Luca ha fatto una battuta su un tetto, come è successo in radio la scorsa settimana, non è roba di tutti i giorni. Non avevo mai trovato i tetti divertenti, fino a quel giorno. Le tette si, quelle mi fanno un sacco ridere, ma i tetti proprio no.

Diciamo che i Pills sono diventati un appuntamento fisso in cui, per due, tre o dieci minuti, entri nel loro mondo e capisci che forse visto come lo vedono loro due risate in più te le potresti anche fare.

Insomma, alla fine io ‘sti matti volevo intervistarli e, un po’ come successo per i Bud, all’improvviso mi sono ritrovato a scrivere una mail con domande assurde, sotto specifica richiesta del gruppo. Basta domande “da intervista”, che poi a me fanno tra l’altro cacare (non cagare).
E quindi eccola qui, uncut and uncensored.
Buon divertimento.

The Pills. Ora che ho visto un sacco di roba vostra, sono convinto che il nome sia dovuto agli psicofarmaci che assumete prima di scrivere e girare gli episodi. Cambiate il vostro nome in quello di una droga.

E’ una proposta interessante la tua…Yagé. La droga dell’empatia elogiata anche da Burroughs. Leggende narrano che ti possa far udire il pensiero delle persone che hai accanto. Assurdo.

Un giorno sono stato in una pinacoteca a vedere una mostra fotografica di Matteo Renzi. Cosa ne pensate, della scultura?

Adoro Canova.

La necrofilia, questa sconosciuta. Come vi ponete di fronte al fatto di poter avere un rapporto sessuale con un cadavere? Senza contare quelle che ve la danno durante un after per il fatto che siete famosi.

Mi ricorda un cortometraggio parecchio disturbante che si chiama Aftermath, di Nacho Cerdà. Alla domanda precedente aggiungo un altro corto dello stesso regista: Genesis.

L’altro giorno, in piena notte.. mi sono alzato e ho mangiato una banana in modo così sporco che ho vinto il “Pistone d’Oro”. Ora sto uscendo con una che ha sempre una scorta di aghi Pic nella trousse e lo zucchero a velo del mio panettone era un po’ amaro, quest’anno. Consigli?

Fattela prendere a bene. Se hai visto i nostri tutorial sarai sicuramente in grado di reagire nella maniera più idonea…

Cos’è la celiachia?

Esser sprovvisti d’un enzima in grado di smaltire gli zuccheri composti?

YouTube è un grande veicolo per gente di talento come voi, ma lo è anche YouJizz. A quando The Pillxxx?

Eeeeeh. Presto, dai. Facci raggiungere un punto più alto. Così il tonfo sarà di sicuro più sonoro ed eclatante. Un po’ come Davide Di Porto. Ci piacerebbe replicare il suo rise and fall sorrentiniano.

Inventate un nome a testa mixando un poeta con un oggetto. O col cazzo che vi pare.

Hanna Montale
Gengis Kant
Brigitta Bulgakov
e Leslie Nietsche

Non vi siete un po’ rotti il cazzo di Burton che fa solo film con la moglie e Depp?

Non sai quanto. Ci pensavo proprio ieri, sai?

Salutate Giulia Mazzone.

Un bacio, Giulia. Un Cucchiaio e una Bestemmia è un format geniale. Se passi da noi un giorno lo ufficializziamo e poi lo vendiamo al satellite.

Salutate il mio amico Andrea, sennò non mi fa il logo per il blog;

Ciao Andrea! Daje co sto logo! Te gà e laurà! Hop hop!

Il mio amico Andrea è anche (e soprattutto) un Dj/Producer techno, quando suonerà a Roma ve lo andrete a sentire? Ma soprattutto, ve le pijerete le Pills?

Sono sull’andante sociopatico, e credo che un dj set sia solo una delle tante manifestazioni delle mie fobie. Ma credo che il resto dello staff presenzierà con piacere.

Un paio di domande “ad hoc”: Luca, tu sei un po’ il creatore o comunque l’ideatore dei Pills, in sostanza sei quello che se la comanna. Quali sono le tre peggiori cose che faresti se il gruppo non fosse basato sulla democrazia e tu volessi far valere il tuo ruolo di capo?

In primis sodomizzerei Luigi Di Capua, che si rifiuta categoricamente di lavorare come in realtà potrebbe. Ho sempre detestato le persone poco inclini ad esprimere appieno il proprio talento. Non gli rendono giustizia.

Picchierei Dario. Che continua a rifiutarsi di contribuire attivamente nonostante egli disponga di una genialità decisamente fuori dal comune.

Frusterei Matteo, che sul set è più ingestibile di Marlon Brando e pazzo come Tom Cruise.

Luigi, nell’ultima puntata della serie regolare sei rincorso dalla -per altro bravissima- Melissa, la tossica con le Hogan. Preferiresti provare una droga mai provata o indossare una di quelle scarpe per un giorno?

Preferirei di gran lunga estrarre dell’adrenocromo dalla ghiandola pineale di un essere umano morto. E comunque le Hogan le ho portate per più di due giorni di ripresa e… ti dirò… Sò comode!

Matteo, tu sei l’unico che ho conosciuto di persona [l’intervista l’ho preparata prima di conoscere Luca e Mattia, ndJ], e che nella stessa sera mi ha visto rischiare di vomitare l’anima per più di un’ora. Oltre al fatto di ritenerti sicuramente fortunato per questo due in uno, è vero che quella sera hai tentato più volte di capire i segreti del mio fascino?

Si, e li ho compresi tutti, e tutti insieme mentre ti vedevo da lontano chinato su una tazza del cesso in attesa di una cascata di vomito. Devo dire che anche la tua abilità nel beer pong mi ha stregato, ma forse le due cose sono direttamente correlate, come due facce di un’unica, splendida medaglia. D’oro.

Infine, due domande serie (che non significa volere risposte altrettanto serie, sia chiaro): qual’è il vostro rapporto con Roma come città, quanto ve piaceno la romanità e li Romani?

Fondamentalmente, come degli autentici romani che si rispettino, la amiamo e la odiamo al contempo. Ammettiamo che la carica ilare che ne scaturisce, spesso e volentieri anche inconsciamente, è notevole. Ovviamente a meno che non si tratti di qualcosa di facilone e scontato come accade per Vanzina, Parenti e i Soliti Idioti. “Noi al Circo Massimo, voi massimo al circo” è una copyhead che ci è rimasta nel cuore, ad esempio. Nonostante siamo estranei a contesti da tifoseria.

Che musica vi piace, che cosa odiate, cosa non potete fare a meno di ascoltare?

Ci piacciono le cose tristi: Bon Iver, Death Cab For Cutie, Band of Horses e Fleet Foxes.
Matteo adora il Rap Hardcore.
Dario muore per i Mumford and Son e Black Keys.
A Mattia, come avrete capito, piace la musica di sinistra. Quella da primo Maggio e da festa della raccolta, sostanzialmente.

Grazie ragazzi, la prossima dal vivo!!

Magari ce caschi.

Eccoli, i Pills. Siamo tutti d’accordo che stanno abbastanza fuori, ormai. Quindi, smettete quello che fate, non fate quello che state per cominciare, e vedeteli. Magari troviamo il modo anche noi di non lavorare.

[ed un ringraziamento al volo ci vuole: il buon Andrea, saputo dei saluti dei Pills, si è risvegliato ed ha tirato fuori il nuovo header, oltre ai loghi che trovate qui e sulla nuova pagina di Facebook.
“C’è una pagina di Facebook?”
Ebbene si, la trovate anche in alto a destra del blog. Vi piace?]

Il Male Minore

Posted in acqua, AleDanno, disagio, foto, manifestazione, politica, Roma, salute on 7 Maggio 2012 by Jacopo Spaziani

The Attention Whore of the Demonstrations.

La nostra classe politica non è acqua, ormai lo sappiamo fin troppo bene. La nostra classe politica non è acqua perché è piscio. E noi il piscio non lo vogliamo, preferiamo l’acqua, e di gran lunga.
Per questo l’anno scorso quasi il sessanta percento di noi simpatici Italiani ha detto che l’acqua deve rimanere pubblica, sovvertendo quello che era il volere del palazzo. Il privato porta soldi al palazzo. Solo che quei soldi sono i nostri, e sono sempre di meno. Abbiamo voluto l’acqua pubblica come dovrebbe essere qualunque cosa che venga poi gestita bene, e con criterio. Finalmente siamo andati a votare qualcosa di concreto, di vero, un qualcosa che è stato scelto da noi direttamente. Qualcosa che, per una volta, non è stato il male minore. La famosa “volontà popolare”.

Ma c’è un problema.

Quante volte abbiamo sentito il motto, prima del referendum, “l’acqua un bene comune”? Ecco, a quanto pare non lo è per quello di Roma. Il signor sindaco AleDanno, visto che non è riuscito a tenere un soldo nelle casse del comune -anche grazie al fatto di aver piazzato decine di parenti ed amici su poltrone più o meno strategiche con stipendi milionari- ha deciso di vendere il 21% delle quote ACEA ai privati.
Ora, questo è sbagliato per tanti, tantissimi motivi, ma soprattutto per il fatto di cui parlavamo prima: noi, l’acqua privatizzata, non la vogliamo. E se Gianni Bello non ce sente, da quell’orecchio, noi proviamo con l’altro, che tanto se ritrova dù belle sleppe. Lei, signor sindaco, quelle orecchie dovrebbe usarle giusto per portarci l’acqua. Ma a tutti, non solo a chi l’ha votata, perché l’ha detto lei durante l’insediamento in Campidoglio che sarebbe stato il “sindaco di tutti i Romani, senza pregiudizi e divisioni“. Noi, quelli che non l’hanno votata perché abbiamo ancora una coscienza che ci spinge a non dare il voto a chi tirava molotov da pischello, abbiamo dovuto scegliere il male minore: Francesco “non so cosa ci faccio qui” Rutelli. Sono anni che, sia alle amministrative che alle politiche, siamo tutti costretti a scegliere il male minore. Ma adesso  non mi metto a blaterare su rappresentanze politiche e leggi elettorali.

“Nasone’s dead, baby. Nasone’s dead.”

Il problema del male minore è che non potrai mai davvero votare per chi vuoi tu. E infatti nel caso del referendum dell’anno scorso se l’affluenza e i risultati sono stati quelli che son stati, il motivo è che finalmente abbiamo votato per qualcosa che volevamo. Non ci siamo tappati il naso nell’urna, per non sentire la puzza dello stronzo che stavamo depositando sulla scheda. Non ci abbiamo pensato prima, su che votare o meno. Non abbiamo fatto arrivare quel weekend così, tanto per, ma ci siamo informati ed abbiamo scelto razionalmente.
Ed infatti al palazzo questo non va bene. Non è plausibile, per loro, che il cittadino scelga secondo la propria coscienza. Non è comprensibile, per chi ha il potere, come milioni di persone abbiano detto la stessa cosa che per una volta non era quello che volevano loro. Sono rimasti spiazzati, spaventati da quell’enorme massa di democrazia che si è spostata da casa alle urne invece cha andare al mare, come consigliava il TG1.

E quindi, il cittadino romano, oltre a dover sopportare una città strana, tesa, piena di problemi e di gente veramente ignorante della vita, deve pure scendere in piazza per qualcosa che aveva già messo in cassaforte. Che poi, per carità, io amo questo tipo di manifestazioni, mi piace stare in mezzo alla gente e mi piace essere l’attention whore dei cortei. Però vorrei scendere in strada con i miei amici, chessò, per festeggiare un vera democrazia. O la liberalizzazione della Cannabis. O la sconfitta dell’Alzheimer. O la sconfitta dell’Alzheimer.
E invece dobbiamo sempre star lì per le stesse cose: e l’acqua, e i ciclisti, e gli indignati, e i sindacati, e gli esodati, e gli immigrati, e i martoriati, e i maltagliati, e i quattro lati, e i colorati, e gli inculati, e gli alfabetizzati.
Scendiamo in piazza per cose che sono nostri diritti ma che comunque ci vengono negati. Diritti che in altri paesi sono basi fondamentali da decenni, che nessuno tocca e che nemmeno pensa di toccare.
Invece noi siamo sempre lì a dover sbattere la testa sulle stesse cose, criceti nella teca che bevono un po’ d’acqua pensando che sulla ruota non ci saliranno più. Pensiamo che adesso che abbiamo l’acqua, quella ruota alle nostre spalle rimarrà lì.
Ma poi l’acqua finisce. E noi non possiamo far altro che tornare sulla nostra ruota, ad aspettare che la Grande Mano versi di nuovo quelle sorsate di libertà.
E giriamo, giriamo.
Giriamo.
E a ‘na certa basterà, onnò?

Basterà?

E invece no, non basta.

Non basterà mai.

Lo capisco di ritorno dalla manifestazione, accompagnato da due dolci donzelle, tra risate e piedi in fiamme. Dentro ho la solita, bella sensazione di aver comunque condiviso una giornata con i miei amici, con il sole e tanta bella gente intorno.
Mentre saliamo quei bei scalini larghi di marmo e sanpietrini, degli innaffiatoi automatici stanno bagnando un’aiuola sulla destra. Per un momento sembra tutto perfetto: sto bene, il sole tramonta perfettamente oltre il Tevere, i palazzi sono illuminati da quella luce che c’è solo a Roma e che rimane solo per un determinato, brevissimo momento.
Mi faccio dare al volo la macchinetta da Cesca, mi piego sulle ginocchia e premo tre volte. Mi piace, mi piace un sacco questo momento. Mi piacciono quelle tre foto, una nuvola di pioggia ormai vaporizzata mi rinfresca, per un attimo non sono nemmeno stanco.

Che bel momento.

Poi, mentre ci rincamminiamo visto che il getto ci sta fare il bagno, Fabiana ci fa notare che tutta l’acqua, in quel momento, finisce sui sanpietrini. Ma per tanto tempo eh. Secondi lunghissimi di acqua sprecata su quelle pietre, acqua che scorre via senza bagnare nulla che ne abbia davvero bisogno, rivoli d’acqua buttata al vento.

E allora penso che no.

Non basta, e non basterà mai.

Metropatia

Posted in AleDanno, ATAC, disagio, politica, rabbia, Roma on 30 aprile 2012 by Jacopo Spaziani

“Abbonamento Sindaco” ti permette di non pagare la metro, tanto non ti serve.

Non avere la patente, ormai, sembra un sacrilegio.
Non averla a a quasi trent’anni, poi, è visto come un chiaro esempio di deficit dell’attenzione sociale.
Non averla a trent’anni ed abitare a Roma.. beh, quando lo dico faccio scappare più gente che se dicessi “ho la rabbia” o “ho votato Alemanno”, due cose che a spesso sembrano strettamente correlate, tra l’altro.

Lascio da parte i motivi personali che mi hanno portato (volente e nolente) a questa scelta, e passo subito a come questo può essere motivo di orgoglio, pregiudizio e parecchi ritardi ad appuntamenti. Vi racconterò come è la giornata di un romano a Roma sui mezzi pubblici, cercando anche di darvi qualche consiglio per quando deciderete, almeno per un giorno, di levare il culo dal sedile della vostra macchina.

Autista Romano, Saluto Romano.

Prima di tutto, prevedere.
Abitando in quella zona da acque internazionali, quel limbo tra Roma e Fiumicino che sarà per sempre comunque “fuori Roma”, sapere dove andare e a che ora è, come per tutti, fondamentale. Per me un po’ di più. Se devo andare al centro, so che ho due alternative: treno (che per raggiungere devo comunque prendere un autobus) o solo autobus.
Nel primo caso, scelta che prediligo e che prevede l’uso di entrambi i mezzi (e quindi il doppio dei problemi), devo prevedere l’auto che mi porterà alla stazione. E qui cominciano già le prima consultazioni all’oracolo di Delfi. E si, perché bisogna partire dal presupposto che per quanto tu possa consultare gli orari sul sito dell’Atac (che a volte sembrano avere quasi un senso) o già sia avvezzo agli orari giorno per giorno, devi considerare che l’Autista Romano, o che comunque opera su Roma, è una specie animale a sé. È talmente sensibile, l’Autista Romano, che il suo lavoro può essere condizionato da qualunque sfumatura ambientale e sociale: magari prima di partire dal capolinea, ha bisogno di riflettere sulla vita preparando il Fantacalcio sul suo iPad, o di stare al telefono con la moglie per essere aggiornato sugli ultimi risvolti (di interesse nazionale) della diatriba condominiale in corso. O magari vuole solo aspettare che il sole salga un altro po’ ché poi sulla Pisana sbatte proprio contro gli occhi.
Insomma, le variabili sono molte ma soprattutto (in modo tanto paradossale quanto lo è l’Autista stesso) costanti. Ed ogni giorno è una nuova avventura.

Dopo aver imparato a memoria modelli di camion, autocisterne e teste di cazzo al volante, salire sull’auto e perdere l’udito a causa del mix buche in strada e viti lente che permettono ad ogni singolo componente del mezzo di sbattere contro tutti gli altri creando così il nuovo singolo di Skrillex feat. Giovanni Allevi sotto ketamina, è sempre un piacere.
Arrivato alla stazione, parte la seconda serie di consultazioni all’oracolo, questa volta di Matrix. Qui entra in gioco infatti uno schema, un sistema per il quale il treno regionale che parte da Fiumicino Aeroporto e diretto principalmente ad Orte è sempre in ritardo.
Sempre.
Vuoi l’arrivo di un altro treno, vuoi l’ennesimo suicidio sui binari (e di questi tempi è più facile che qualcuno s’ammazzi piuttosto che piova), vuoi che gli orari probabilmente li ha preparati Topo Gigio mentre organizzava la campagna contro l’influenza A ed insegnava a Giacomo a nascondere la pistola, vuoi che magari quel giorno i pianeti sono allineati proprio male: il treno, anche se di soli due minuti, sarà in ritardo.
È così preciso, questo schema, che la simpatica signora di colore che insegnava a Neo l’arte della ribellione ha smesso di fumare e si è data alla vendita di gioielli fatti in casa.

Cose che capitano.

La fase successiva al prevedere (detta anche “di speranza”), è quella del sopportare.
Prima di tutto sopportare il fatto che il biglietto che avete timbrato prima di salire, ligi al vostro dovere di sentirvi migliori, passerà sicuramente per le mani di qualcuno che ci farà un filtro, ma non per quelle di un controllore. L’ultima volta che ho visto un controllore, compravo ancora l’abbonamento studenti.
Poi dovete sopportare il fatto che vi sembrerà di essere nella foresta Vietnamita ad Agosto quando è Gennaio ed un pezzetto di ghiaccio tritato in un Mojito quando in realtà è piena estate.
Sopportate infine il fatto di tenervi dall’avere qualunque stimolo fisiologico. Dio non voglia che la vostra vescica o il vostro sfintere decidano di attivarsi, perché i bagni di un treno regionale sono puliti come il set di un fil porno a fine riprese. Da quando sono andato una volta in uno di quei bagni mi illumino al buio e depongo uova di coccodrillo.
Insomma, per sopravvivere ad un viaggio in treno bisogna: risparmiare un euro di biglietto, vestirsi a cipolla ed espletare tutti i bisogni prima di iniziare il viaggio. Più tutta una serie di altri accorgimenti che solo l’esperienza, l’istinto ed un buon vaccino possono permettervi di sopravvivere per poterlo raccontare.

Ghostbusters.

Poi c’è la fase dell’adattamento.
Ogni giorno è diverso, e principalmente a causa della non puntualità. Perché degli scioperi non parlo, quella è la normalità, e lasciamo stare le condizioni climatiche e gli incendi.
Non puntualità che causa coincidenze mancate, imprevisti che portano a ritardi e sovraffollamenti. A volte, sul treno come sulla metro, ho visto così tanta gente che credevo di essere sul set di un film sulle deportazioni: gente innocente su mezzi stretti e maleodoranti, destinata a luoghi di tortura e supplizio, trasportata da gente burbera e in divisa.
Cambiare metro a Termini alle nove di mattina è una guerra in cui i soldati sono stati mandati senza avviso, armati di iPod e borse, con le facce stanche e spaventate. Ho avuto la fortuna di incontrare alcuni dei sopravvissuti ai cambi metro la mattina, ed in alcuni di loro ho potuto riscontrare gli stessi sintomi dello stress post traumatico dei reduci dei conflitti. Gente che ha assistito a stragi di così enormi proporzioni che quelle italiane in confronto sono come i film gialli del Sabato sera di Rai2 anni fa quando ancora non esistevano quelle del Sabato sera.
L’adattamento è qualcosa che non si spiega, non si tramanda. È quello che ci ha restituito pochi eroi e troppi cadaveri. Senza spirito d’iniziativa di fronte agli imprevisti, senza una visione chiara dell’ambiente che ci circonda, senza un piano B, una giornata sui mezzi pubblici a Roma può essere un gioco al massacro. Probabilmente porrebbe fine alla carriera di Bear Grylls, se decidesse di farci una puntata.

C’è una piccola fase intermedia, la più breve ma sicuramente la più gloriosa: l’arrivo. Uscire dalle scale della metro, scendere sulla banchina della stazione o saltare lo scalino dell’autobus è un momento bello. Sò soddisfazioni.
Sapere di essere arrivato, o anche di dover camminare un po’ ma di non dover più prendere un mezzo pubblico, è una sensazione di vittoria, come l’odore del Napalm.

Poi però arriva la fase finale, quella conclusiva e che spazza via ogni gloria che potete aver conquistato durante il giorno, il momento che chiude i giochi e vi fa tornare sulla terra: il ritorno a casa.
Tornare da dove siete arrivati con tanta fatica è come tagliarvi via un pezzetto del vostro corpo.
I mezzi sono più sporchi e puzzolenti del solito, spesso vuoti da far paura a Breivik, altre volte più pieni della mattina. Le stazioni sono angoli dimenticati da dio, gli autisti automi indifferenti alla razza umana, le fermate dell’autobus diventati circoli per i raduni della micro criminalità.
Non fai più caso ad orari ed impegni, vuoi solo girare le chiavi nella toppa e rimanere fermo da qualche parte, senza pannelli che sbattono, vecchi che strepitano, ragazzini idioti e rumorosi, esemplari di Autista Romano che emettono suoni e agitano gesti.

Per questo, va bene tutto, viva chi si muove per le città in modo alternativo, pollice su per chi crede #SalvareCiclisti ma.. pensare pure #SalvarePendolari?

Mi Rifiuto

Posted in foto, monnezza, rabbia, Roma, salute on 9 aprile 2012 by Jacopo Spaziani

Carissima Renata,

ho pensato di scriverLe di dove abito, per farLe capire come vivo.

Perché farlo, e perché a Lei? Beh, prima di tutto perché la politica dovrebbe dare ascolto al cittadino, dovrebbe essere mezzo per fare quello che il cittadino chiede. Io Le chiedo solo qualche minuto, e lo chiedo a Lei perché dove abito io è pieno di manifesti in cui si ricamano le Sue lodi e le sua azioni da vera guerriera quale Lei ha dato prova di essere più di una volta.

Il posto dove vivo io si chiama Ponte Galeria.

A Ponte Galeria non c’è un granché. Di solito è porto di mare per camionisti, monnezzari, mignotte e mezza Europa dell’Est.
E badate bene che non ho un tono dispregiativo, anzi. Di solito passa di peggio.
Quando mi chiedevano dove abitassi, anni fa, al nome di Ponte Galeria la gente solitamente aveva la stessa faccia che avrei io ad una lezione di fisica quantistica.
Adesso è conosciuta principalmente perché è una fermata del treno che va a Fiumicino Aeroporto passando per le stazioni più importanti di Roma.

E basta.

Il problema vero, però, è che va bene non parlare delle cose positive, soprattutto se non ci sono.
Ma andrebbe bene parlare delle cose che non vanno, visto che l’elenco è lungo.
Oggi vorrei esporLe il problema principe, di Ponte Galeria e di tutta la zona limitrofa.

Questa zona un tempo dimenticata da ogni divinità, ora è popolata.
Popolosa.
Popo tanta gente.

Ma oltre alla gente, a Ponte Galeria c’è l’industria. Più precisamente, quella dell’immondizia.
Rifiuti di ogni tipo, dal generico all’ospedaliero, dal solido al liquido, dal tossico a quello ancora più tossico.
Siamo circondati da mostri alti e grossi: la discarica ed il gassificatore di Malagrotta, l’inceneritore di rifiuti ospedalieri, la raffineria.
Mostri alti e grossi che sputano ventiquattro ore su ventiquattro il loro veleno addosso a tutti gli abitanti della zona e non.
E si perché il problema, mio caro Presidente, è che non solo da tempo la zona di Ponte Galeria è oggetto di studi per tassi di malattia e mortalità improponibili e  oltre ogni media ragionevole, ma quando il clima lo permette tutto lo schifo che nasce da qui arriva ben lontano, con tracce rilevate fino al centro di Roma.

Il problema, ovviamente, non si riflette solo sull’aria e ciò che respiriamo: la zona è piena di pascoli da dove arriva latte e carne per migliaia di persone. Ci sono campi coltivati i quali frutti arrivano sui banchi dei mercati e dei supermercati.

C’è persino uno scavo archeologico, proprio qui a due passi da casa mia. Lo scavo del cimitero di Castel Malnome non è forse uno di quei siti per cui si fermano ogni due giorni i lavori al centro, è un posto dove i turisti non vanno e che non porterà nessun tipo di profitto alle Vostre tasche senza fondo. Ma i risultati delle ricerche sui resti umani trovati sembrano essere importanti a livello scientifico. Ma, si sa, non c’è nessun centurione lì intorno a farsi foto con gli scheletri sullo sfondo.
In sostanza, mia stimata Polverini, la coltre di morte che arriva da quei mostri alti e grossi si posa sulla città come un velo silenzioso e velenoso. Un velo che copre continuamente ogni cosa viva e non e la penetra, la violenta, fino a creare tumori, problemi della crescita, malformazioni nei neonati.
Una Chernobyl costante ed impietosa.

Da anni, ovviamente, un gruppo di persone armate di buona volontà e spesso tanta frustrazione si uniscono e tentano in tutti i modi di fermare le persone e farle ragionare, di far capire loro che ne va della vita di tutti.
Ma alla gente basta poco per tapparsi occhi ed orecchie, come il non pagare le tasse dell’AMA.
Occhio non vede, tasca non duole.
Questa gente combattiva ma stanca lotta da anni contro i vari Cerroni (anzi, l’unico Cerroni, visto che a ottant’anni suonati ancora siede sulle più importanti poltrone della politica della monnezza). È una lotta che non attira telecamere, non è miele per i giornalisti se non nelle rare eccezioni di Iacona qualche anno fa.
Le faccio un esempio: sapeva Lei che proprio oggi un gruppo di persone del comitato si sono riunite nel crocevia della morte, lì a due passi da quei mostri alti e lunghi, e si sono letteralmente “messi in croce”.
E vorrei sottolineare che questa gente che ha già fatto -e continua a fare- scioperi della fame, sit-in, flash mob, manifestazioni, ha preso manganellate e derisioni, ha un’età media abbastanza alta. Parliamo di madri e padri (come il mio), a volte nonni, piccoli commercianti che sono sul territorio da quando Lei ancora poppava il seno di mamma.
Eccoli qui, altri facinorosi e disturbatori della quiete pubblica:

In Croce

Ombre minacciose.

Brutte facce. Bruttissime.

Ponte Galeria è un posto tutt’ora dimenticato da ogni divinità.
L’unico dio che si ricorda di questa zona è quello del denaro, dell’avidità, del lucro.
Cerroni ha in mano tutto, gioca con le vite della gente del posto come fosse uno scherzo.
Mentre lui atterra con il suo elicottero nella discarica, la gente continua ad ammalarsi.
Mentre continua a comprare terreni come se giocasse a Risiko, la coltre scende sempre di più.
Si fa sempre più pesante ma allo stesso tempo intangibile, questa coltre

Per concludere, non sono qui a chiederLe nulla, perché come tante persone della mia età ho già perso la speranza nel voler vedere un mondo migliore.

Perché un mondo migliore non dovrebbe farsi calpestare da gente che non vuole vedere oltre al colore morto dei soldi.

Ma l’unica cosa che posso fare, è dire che mi rifiuto di stare qui ancora a sentire le vostre voci prometterci cambiamenti, discariche ecologiche ed unicorni rosa.
Mi rifiuto di ascoltarvi, perché sarebbe tempo perso.
Mi rifiuto di assecondarvi.
Mi rifiuto di cedere ai vostri canti di risparmio e sicurezza.

Io rimarrò contro, mi cara Renata.
Perché essere con voi significa perdere quel poco di dignità che mi, e ci, è rimasta.
Ponte Galeria sarà pure lontana e dimenticata.

Ma non è morta, anche se state facendo di tutto per ammazzarla.